lunedì 7 luglio 2008

morire di lavoro

Con un po' di divario cronologico, pubblico una cosina che ho scritto sulla bassezza di un certo tipo di imprenditori. Me l'aveva chiesta un personaggio che culturalmente e politicamente stimo molto. Condivido...


COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA - PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. […]
Art. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo […]
Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali[…].
Art. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Non importa andare oltre nella lettura della Costituzione per poter affermare con certezza che non esista alcun articolo che parli di dovere di morte, dovere di umiliazione, dovere di violenza della dignità, dei sentimenti, dovere di infangare il nome di chi muore innocente.
Eppure, un imprenditore oggi si permette di violare i diritti fondamentali dei cittadini italiani o di chi come loro vive e lavora in Italia, di provocarne la morte ed infine di calpestare le loro famiglie distrutte e il loro nome.
Il titolare dell’Umbra Olii ha fatto chiedere un risarcimento di oltre 35.000.000€ alle famiglie dei quattro operai che due anni fa persero la vita per un’esplosione nella sua azienda.
Quattro operai come tanti, con famiglie come tante, in continua lotta per una vita dignitosa, per garantire ai figli quelle poche garanzie che il sistema del lavoro oggi permette di avere.
Perché non è mica facile mantenere due bimbe piccole. E nemmeno garantire un quotidiano sereno ad un giovane uomo e ad una giovane donna.
Che si sia italiani o stranieri poco conta. Bisogna lavorare. Anche il sabato. Avere molta o poca esperienza non fa differenza. Chi costa meno vince, comunque.
E di sabato Giuseppe, Maurizio, Vladimir e Tullio si sono arrampicati sull’enorme silos.
Probabilmente avranno guardato la valle da là.
La valle così bella che hai la tentazione di credere in Dio.
Un bello spettacolo davvero, doveva essere.
Ma non abbastanza bello da essere l’ultimo. Non abbastanza da poter prendere il posto dello sguardo forte e pieno d’amore di una donna che saluta il tuo rientro, o di quello pieno d’adrenalina di un figlio appena uomo sul go-kart o ancora di quello irrinunciabile di una figlia: che abbia nove anni o diciannove un giorno l’hai presa tra le braccia e, per te, lei non ha più cambiato sguardo.
Un bello spettacolo, la Valle, ma non abbastanza per morire.
Una bella Costituzione la nostra, ma non abbastanza per essere rispettata.
Una bella storia quella di San Francesco ma non abbastanza per ripetersi.
Perché se quel sabato di bello non ha avuto nulla, oggi la richiesta di un solo uomo cancella non solo il bello ma la sua possibilità di esistere.
La vergogna pesa sulla nostra società. Già, la vergogna dei nomi di Giuseppe, Maurizio, Vladimir e Tullio morti nell’esercizio di un dovere e diritto costituzionale.
Adesso la vergogna per la richiesta di questa impresa che uccide la dignità di ogni lavoratore e di ogni famiglia, la dignità di Fiorella, Morena, Anila, Catia, Yuri, Sagma, Branjola, Enrica.
E questa vergogna così pesante, così drammatica ci spinge a condannare l’impresa Umbria Olii e i suoi rappresentanti, per la vergogna che non hanno provato e che non provano oggi.
Questa vergogna che ci rivela come chi è capace di provare vergogna sia ancora uomo, così diverso da chi, senza vergogna, calpesta e infanga la nostra civiltà.