domenica 6 gennaio 2008

Londra, io e la Pitù

Finalmente un po’ di quotidianità: quello che mi manca di più da ormai un anno.
Hai cambiato passo ma non espressione del viso.

Hai cambiato numero di telefono ma in questi giorni ti posso chiamare o mandare un messaggio per vederci più tardi, quando esci da lavoro.
La tua casa aveva mobili improbabili e belle fotografie.

Qui per i mobili non c’è quasi spazio e le foto artistiche hanno lasciato obbligatoriamente il passo alle foto del cuore, quelle che alla fine non ti piacciono ma ti fanno sentire viva. E comunque il tuo odore non è poi tanto diverso e questa casa ti assomiglia non meno della tua.

Abbiamo passeggiato e mangiato e bevuto e riso e parlato. Cose di tutti i giorni che solo quando mancano si capisce davvero che non se ne può fare a meno.
E mi piace, ora, scrivere tutto sgrammaticato e confuso come le emozioni che si affollano nel cuore, con la loro cadenza un po’ bambina; perché i buoni sentimenti e le amicizie per sempre sono una proprietà esclusiva dell’infanzia.

Ma dove sono quegli orecchini che mi piacevano? Dai compriamone un paio insieme…no alla fine volevo quelli e non ci sono.

Cammini per le strade di Londra con la padronanza di chi potrebbe camminare per qualsiasi strada del Mondo. Un po’ ti invidio questa disinvoltura, questo saper portarsi le radici nel cuore e affondarle senza perderle in qualunque terreno. Come l’orchidea che hai lasciato sul mio comodino.

Io invece sono un ulivo o una vite che lontani dalla loro terra forse danno comunque frutto ma mai la stessa sublime perfezione ed equilibrio.
Ci siamo sedute sul divano di Cereno, con vino e anacardi e abbiamo chiacchierato fino a perdere il treno. La sua casa è graziosa e accogliente e Cereno si muove elegante e sicuro tra ospitalità e conversazione d’alto livello.
Ma è quasi impossibile accettare di perdere anche uno solo di questi momenti.
Non ho mai smesso di sperare che tu tornassi e non credo potrò smettere. Che mi sento pure un po’ in colpa per questo ed egoista se vuoi.
Ma mi piace così tanto averti vicina e non ho mai saputo mentire un granché.

Sei tornata dopo un mese quasi e subito ripartita. È bellissimo vederti felice e vederti qui ma si sente che non è il quotidiano.
Solo per questa espressione che hai, chi ti è accanto per me acquisisce la dignità di essere umano speciale e bello.

che hai sei triste? no. Sfavata, scoglionata? no.

Ché non si può dire sempre dei moti del cuore: a volte bisogna rispettare.

Ubi maior, minor cessat.

Londra, io e Paahppi

Ti muovi a tuo agio nelle strade e tra la gente. Io, goffamente, ti seguo, attenta che questa strana magica città non ti rubi di nuovo: come se davvero potessi impedire o contrastare quest’amore atavico.

Un po’ patetica, direi, e molto sperduta in un mondo che non mi appartiene.

“Io amo questa città, tu la odieresti”, mi dicevi, con la lungimiranza di chi sapeva che con me Lei sarebbe stata fredda e un po’ ostile riservando le sue grazie solo a te.

Il tuo cuore nomade e avventuriero batte al varco di ogni quartiere, ad ogni nota - per te sublime - di questo idioma così lontano dalla dolcezza latina.

Il mio cuore di tartaruga cerca i confini di quello che confini non ha; cerca i confini per valutare la strada da fare, dosare le forze, non perdere niente per strada.

E invece posso solo lasciare la mia mano nella tua e farmi portare attraverso la frenesia e l’imprevedibilità.

È bella, nessuno può negarlo.

Bella di velleità creative ed intellettuali, di innovazione e storia, di eleganza e trivialità, come una signora d’alta società con movenze di esperta baldracca.

Bella e ostinata stringe le cosce alla vita dei suoi amanti, li inebria con profumi preziosi, li avvolge in stoffe splendenti: chè si dimentichino del pavimento putrido sotto di loro; e succhia loro piano, piano la vita fino a che non si ritireranno in campagna o prenderanno un aereo per far ritorno a casa.

Tu sei con me, hai scelto di restare e amoreggi con le strade e le insegne con un velo di rimpianto.

Ma sei con me e lo sei davvero senz’ombra di dubbio; io appoggio al muro il mio carapace, qualcuno lo userà per raccogliere due spiccioli in cambio di un po’ di musica.

Per questi giorni ti seguo tra le pieghe del tuo passato e sei un po’ più tu.

Londra Greenwich

Si prende il treno e si va fuori. Sembra di fare un sacco di strada ma dalla cima della collina Londra è lì sotto che sembra si possa andarci passeggiando nel verde.
C’è il silenzio dei posti antichi e saggi del Mondo. Soffia vento freddo ma c’è il sole e fa comunque bene al cuore.
I cani si rincorrono e si rotolano nell’erba come in ogni angolo del mondo dove ci siano cani ed erba. Ma nell’aria c’è una tensione strana, qualcosa che ti spinge a chiedere permesso ai grandi alberi, alla distesa verde acceso e infine agli scoiattoli socievoli e per niente timorosi.
Il centro del Mondo, l’inizio di tempo e spazio così come li contiamo e misuriamo noi piccoli esseri umani. Ed intorno la Natura che sogghigna silenziosa delle foto sotto l’orologio, degli strumenti belli e raffinati, dei telescopi e del ticchettare delle lancette e del registratore di cassa.
Abbiamo mani fredde e visi arrossati. Chiudo gli occhi e mi abbandono al vento.
Quando li riapro la mia schiena è inclinata a nord come se il mio corpo rilassato volesse dimostrare che la perfezione dell’opera di Dio non cede un passo all’opera dell’Uomo, ai suoi aghi magnetici.

Ci sono angeli più luminosi, qui, di quelli che ornano le strade del centro.
Angeli che scompigliano i capelli di benedizione e luce e serenità.
È tutto calma e profondità, una profondità così grande da contenere il mondo e le stelle.
Una profondità così grande che il cuore non basta, e meno male che siamo in due qui adesso.

Ce ne andiamo con una certa riluttanza verso la città frenetica.

In silenzio. Perché le parole, a volte, sono piccole.

Londra 2

A Londra gli autobus sono belli e comodi. Se non si ha fretta. E tutti hanno fretta, anche i turisti. tutti tranne noi.

Guardo il succedersi di edifici grandi e ricercati indipendentemente dalla loro età storica. Sembrano isolati in mezzo al niente anche se è tutto un formicolio di case e persone e strade affollate. Perché qui lo spazio non manca ed è ben sfruttato.

Si trova cibo da qualsiasi Paese. Ogni cucina prende facilmente campo perché le proposte britanniche sono davvero pochine: un pesce fritto che mi ricorda paurosamente il venerdi alla mensa della scuola elementare con un’insensata salsa di piselli onnipresente; salsicce (buone eh…ma pur sempre salsicce), tortine salate senz’arte né parte e strani budini.

La cosa che più mi ha sconvolto è il concetto di cioccolata calda tradotto in una mezza litrata di latte e nesquick. Terribile.

In cambio c’è la birra che dicono sia buonissima. E a me non piace la birra.
Il vino, anche quello nostrano, ha un sapore insistente di alcool. Non so perché dev’essere qualcosa che ha a che vedere con il clima o simili.

Londra dall’alto sembra un drago d’argento adagiato sui campi verdi e piatti. Forse è per questo che le grondaie e le mensole raffiguranti strani mostri alati sono molto più belle e ben fatte di quelle che pretendono raffigurare i cristiani. Non a caso nello stemma cittadino…

A Londra centro non ci saprei vivere ma le situazioni in cui ci si può trovare sono divertenti: tipo andare a cena in una casa con un inglese, una cubana, due italiani, un brasiliano e una libanese e capirsi tutti in una lingua che tutto è meno che inglese. Come dice John, britannico d.o.c, “eravamo qui: lei con la sua famiglia (tedeschi), lui e la sua famiglia (italiani), lei cubana e parlavano tutti inglese. Bene: tutti capivano... tutti meno che io!”

Londra è una città in cui si può alzarsi dal tavolo in cui si è cenato alle 3 del mattino e finire di digerire il cibo cinese ingurgitato grazie al tè del pomeriggio seguente.

Londra è una città che crea un cammino di angeli enormi e luminescenti che per un momento ti fanno sentire un po’ vicino a Dio e poi addobba la sua via più importante con insensati richiami luminosi al film Disney del momento.

Le luci di Natale a Londra fanno a pugni con i palazzi pieni di pubblicità che sovrastano la notte e i suoi riflessi, di fluorescenze innaturali e violente.

Ma a Londra, all’improvviso, tace la confusione ritmata delle strade e ti si aprono davanti strade, vicoli e piazzette in cui tranquilli venditori ambulanti completano i colori tenui delle villette. A Portobello Road si passeggia tra odori più o meno invitanti, le bancarelle si dibattono senza via d’uscita tra kitsch, banalità, fashion, vintage, creatività e cibo.

C’è un certo senso dell’umorismo, quasi mai corrisposto dalle strade alberate e immobili come quelle di un paesino di campagna.

Il Tamigi è grande e grigio. Ancor più grigio se riflette il cielo. È una massa d’acqua imponente ed elefantiaca nel suo continuo e impercettibile movimento. Al tramonto è commovente nel riverbero delle superfici riflettenti dei palazzi e nell’ostinazione estetico-storica dei mille caminetti da musical anni ’30.

Londra 1

A Londra centro camminare per strade è un’operazione ad alta difficoltà. Ci sono 4 corsie come in autostrada: 2 per ogni senso di marcia comprese le corsie di sorpasso. C’è una sola zona franca dove la gente rallenta il passo e sono quei 3-4 m circa dall’accesso al binario del metro (in caso che quest’ultimo abbia appena chiuso le porte scorrevoli).

La metropolitana è oltremodo calda. Tutti i luoghi chiusi sono stupidamente caldi almeno quanto stupidamente freddi in Brasile Ma la Metropolitana non è solo calda. È soffocante, confusionaria, rapida nei treni ed intorno.
Vi si affolla un’umanità frettolosa, silenziosa e - nonostante le mille tonalità di colore della pelle - mediamente grigia.
La Metropolitana
è senza veli: non puoi pisciare, vomitare, piangere, ridere se non davanti a tutti. Non esistono bagni né cestini della spazzatura per via degli attentati. I tunnel si costellano di lattine, bicchieri di plastica, sacchetti, cartacce che vengono silenziosamente raccolti da personaggi quasi invisibili che lavorano come talpe tutto il giorno.

Non ci si stupisce che gli inglesi abitino fuori, questo posto sembra spogliare l’individuo di una sua dignità originaria e cambiarla con una nuova dignità lavorativa e culturale. Chi viene da fuori ne è felice. Chi non viene da fuori deve sentirsi soltanto derubato. Dubito esistano londinesi a Londra centro. In periferia ne abbiamo incontrata una anziana e bionda come ci si può immaginare una vecchietta inglese. Ha snocciolato le sue informazione con calma e precisione esattamente come ci si aspetterebbe da una vecchietta inglese. E anche senza balbettare. Se ne potrà dedurre che quel fastidioso balbettio idiomatico di vocali pertiene alla gioventù.

L’inglese qua nella sua capitale mondiale si veste di mille accenti che vanno di pari passo con i vestiti e le pettinature di chi lo parla.

Qua la gente beve poca acqua e molto caffè acquoso.

La periferia è invasa da stoffe luccicanti, cibi speziati e dalla naturale cortesia degli orientali.
Dei ragazzini entrano a bere acqua da un distributore in una banca. Scattano foto e le ragazze si sparano pose da miss, acchittate come fossero uscite da una sfilata di moda degli anni ’80.

Londra è avanti: gli anni ’80 sono già tornati, qui.

Le ragazze d’origine orientale sono belle e si comportano per strada come se essere belle fosse il loro compito e mestiere con un’inquietante consapevolezza.

Qui tutto da il senso del precario: il passo e i vestiti della gente, i caffè, le vetrine. Anche dietro la maggior attenzione ai dettagli, al lusso più ingombrante, alle composizioni più ricercate si nasconde maldestramente la mutabilità.

E questa precarietà da’ lo stesso senso di soffocamento dell’immutabilità italiana. La stessa sensazione di disequilibrio, ma in senso opposto, a quella che si prova nelle nostre strade dove anche i venditori ambulanti sembrano detentori di un compito eterno.

Essere soli o matti qui è più facile. I matti sono meno rumorosi e meno ingombranti. La solitudine non è che un normale accessorio da mezzo pubblico.