venerdì 5 dicembre 2008

ritorno


Parigi.
L'aeroporto è grande, complicato, altezzoso. I prezzi fanno la loro passerella nelle vetrine dei cafè e delle boutiques. Irraggiungibili.
E ciononostante sento un'allegria crescente.
Sarà perchè la prima tappa è fatta, sarà perchè l'aria di viaggio copre anche il sapore arido dell'aria condizionata.
Sarà perchè intorno la gente è cambiata, la lingua si è fatta più dolce e familiare, il colore della pelle più scuro, i modi di camminare più morbidi e audaci.
Una fetta intera di Brasile sta tornando a casa. Ed io con loro.

Prima si accendono le luci del corridoio.
Apro gli occhi appiccicati del sonno arrangiato da volo transoceanico. L'immagine che ho in mente da tre anni, a breve apparirà nell'ovale del finestrino.
Ho accettato un viaggio scomodo, dipendendo dal mio vicino di posto e dalla profondità del suo sonno per alzarmi, per poter essere qui, adesso, a salutare la città alla sua prima apparizione.
Inizia il lieve trambusto delle hostess e dei loro carrellini. L'aereo si anima di movimenti impazienti, di smorfie e occhi e piedi gonfi.
Un brasiliano tedeschizzato inizia a lamentarsi della sua città natale cosicchè tutti sappiano che livello di vita "oltre" ci sia altrove.
Gli do un'occhiata feroce e torno a immergermi nel buio.
L'aereo scende, esce da un banco di nubi ed eccola lì.
Tutta dorata di luci, con le sue grandi misteriose zone d'ombra, il negro profondo delle sue radici e dei suoi misteri.
Salvador che abbraccia il mare con la sua grande baia e parla la lingua delle onde e del vento e del ritmo quieto della luce del Farol.
Salvador d'Oxum

Sono atterrata e m'avete abbracciata. La Città e tu che m'aspettavate.
Il caldo umido della pioggia e la dolcezza assopita delle quattro del mattino hanno accarezzato la stoffa leggera dei miei pantaloni.