sabato 27 dicembre 2008

La mancanza di opzioni

So che alla fine ha ragione la mia amica: è il male minore in quest'Italia che va ogni giorno più a sfacelo.
Ma, nonostante questa evidenza, è ciò che più mi sconcerta: la mancanza di opzioni politiche serie.
Sono di sinistra dal giorno in cui un compagno di scuola più grande di me me lo rivelò analizzando la mia visione del mondo.
Sembra uno scherzo, in effetti, ma per una ragazzotta di 14 anni, appena affacciatasi al mondo con la scusa della scuola, senza alcuna coscienza politica nè formazione politica familiare, sapere in che parte del Parlamento ci si riconosca, non è così scontato.

Ma insomma, quel giorno Duccio Basosi mi rivelò lo schieramento teoricamente più prossimo alle mie idee sul mondo. E così seppi di essere di sinistra ed iniziò il mio percorso per costruirmi una coscienza civica e un minimo di consapevolezza politica.
Sono passati 18 anni e molte cose sono cambiate. C'è stato il momento dell'utopia, il momento dell'impegno, il momento della delusione, il momemento della paura, il momento della rabbia, il momento del tormento, il momento "contro".

Adesso, soltanto, è rimasta la mancanza di opzioni.
Non resta che guardarsi intorno e rendersi conto che per una persona di sinistra, cosciente del mondo in cui viviamo, delle nuove esigenze, delle possibili prospettive, manca anche soltanto un abbozzo di opzione partitica per la quale valga la pena esercitare i propri diritti/doveri civili.
Ho amici che si sono tappati il naso e stanno a galleggiare nel PD tentando di ignorare che sia la rinnovata forma d'essere della vecchia conosciuta DC.
Ho amici che si impegnano a ricostruire l'ideologia, o almeno a non toglierle il respiratore che la mantiene in vita.
Ho amici che si alienano tentando di costruire un mondo in miniatura in cui non sentirsi esiliati.
Ho, in ogni caso, un sacco di amici intelligenti e pieni di talento. Con ideali radicati e profondi.
E per tutti questi amici, per me stessa e per - credo - altre decine di persone di sinistra davvero, manca un partito.
Un partito non necessariamente teso al governo del Paese (che quello sarebbe il massimo della civiltà),ma anche solo un partito di minoranza, un partito di opposizione, un partito che portasse la nostra voce e la nostra immagine in Parlamento, un partito che - nel suo piccolo - desiderasse rappresentare i valori che abbiamo.
Un partito da votare, insomma.
Credo che, con l'avvento del PD, si siano definitivamente eliminate le opzioni di sinistra nel Paese.
E credo che questo non rispecchi affatto il concetto di democrazia.
Non ce l'ho con Berlusconi nè con Veltroni.
Ce l'ho con tutta quella parte della sinistra rimasta come me senza casa, che si ostina a boccheggiare tra associazioni, movimenti, comitati, coalizioni dai nomi e dai simboli imbarazzanti e altre mille invenzioni e non ha i coglioni, l'unità, la coscienza civica di creare un progetto partitico serio e consisente.
Ce l'ho con l'immobilismo italiano. Con il lasciar correre, con l'orticello privato.
Ce l'ho con me stessa per non essere in grado di riprendere in mano la vecchia attività politica, adattarla ad una qualsiasi di queste manifestazioni della sinistra sopravvissuta e cercare così di far del mio meglio nella direzione che credo giusta.
Ce l'ho con me stessa perchè dopo anni che ho rotto i maroni a cani e porci su quanto sia importante esercitare il diritto di voto visto che gente c'è morta per ottenerlo, io alle prossime elezioni non so davvero chi votare.
Ce l'ho con me stessa perchè per la prima volta in vita mia non so essere italiana, non so intravedere una qualsiasi mia scelta di vita per migliorare il mio Paese e la sua situazione socio-politica.
Ce l'ho con me stessa perchè per la prima volta in vita mia, penso alla fuga come migliore opzione.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Intanto c'è un metodo. Tanto originale che nessuno l'ha mai sperimentato prima di ora. Un metodo che da solo, certo, non fa «nuova sinistra». Ma in ogni caso la mette sui binari giusti. «La fa partire», per dirla con Moni Ovadia. Citazione che serve a far capire di cosa si tratta: perché l'intellettuale, l'attore, lo sceneggiatore, il poeta è il portavoce dell'associazione per la sinistra. Un movimento, nato sull'appello di un centinaio di intellettuali e dirigenti di organizzazioni di base, che s'è posto come obiettivo la nascita di un nuovo «soggetto». Esattamente il soggetto che manca sulla scena politica italiana: quello di sinistra.
E ieri in un teatro romano - strapieno al punto che i vigili del fuoco hanno imposto lo sgombero delle scale per motivi di sicurezza, costringendo così centinaia di persone a seguire i lavori in strada, sotto una pioggia battente - ieri all'Ambra Jovinelli, si diceva, l'associazione ha provato a fare il punto dopo qualche mese di lavoro. Ma appunto si è trattato di un'assemblea atipica, a cominciare dal metodo. Le richieste di intervento sono state raccolte e sorteggiate. Nessuna alchimia fra organizzazioni, nessun «bilancino». Di più: a disposizione degli oratori - che esibivano sulle giacche e sui maglioni i numeri tirati a sorte - c'erano solo tre minuti. Non un secondo di più, perché il coordinatore dell'assemblea - appunto Moni Ovadia - era inflessibile nel suonare la campanella. E' così che - come mai forse era accaduto - ha potuto prendere la parola quella che tutti chiamano la «sinistra diffusa».
Uomini, donne, ragazzi che nel poco tempo a disposizione dovevano raccontare la loro esperienza e dire la loro sulla scelta più importante che quest'assemblea era chiamata a decidere. Quella delle «primarie delle idee». Anche qui, qualcosa che una sinistra non ha mai sperimentato. Si tratta di un vero e proprio questionario, da riempire. Solo che qui non si tratta di indicare un leader, o un candidato a governare qualcosa. Si tratta di indicare le priorità dei temi sui quali dovrebbe ricominciare la sinistra. Dal lavoro alla laicità, dalle differenze di genere fino alla solidarietà. Con in più una casella in bianco per aggiungere una scelta «non prevista». Una sorta di carta dei valori, insomma, costruita con un inedito sistema di partecipazione. Rapido.
Ma sarà anche efficace? Lo si saprà presto. Perché l'assemblea dell'Ambra Jovinelli ha deciso che avvierà una consultazione fra tutte le associazioni che hanno aderito, aperta a chiunque. Si raccoglieranno le risposte scritte e il senso di migliaia di dibattiti e si scriverà nero su bianco una «carta d'intenti». Questo entro gennaio. Il mese successivo, poi, l'assemblea si è riconvocata. E stavolta dovrà rispondere ad un quesito più impegnativo: è arrivato il momento di dar vita al nuovo soggetto?
Non è una domanda da poco. Le implicazioni sono evidenti. Certo, quelle migliaia di persone stipate al teatro spingono in quella direzione. C'è la ricercatrice di Salerno - Palmieri, almeno così si capisce, perchè Ovadia sul palco fa un po' di confusione coi nomi - che prima di venire qui a Roma ha incontrato i suoi colleghi, decine di studenti. «E vorrei sapere cosa racconterò a loro: c'è questa nuova forza politica o no? C'è un progetto, un'idea che possa fare da sponda a chi in queste ore si sta battendo contro la privatizzazione del sapere o no? Loro me l'hanno chiesto sta a voi rispondere». E c'è Fabrizio, che è venuto qui a rappresentare un'associazione di Ancona che è già di fatto la forza unitaria di tutta la sinistra in città, che la mette giù esplicita: «Perché non siamo già una "costituente"? Perché non lo facciamo subito questo soggetto?». Lo accoglie un boato. Di più: la sala comincia a scandire uno strano slogan. Anche questo mai ascoltato prima: «Par-ti-to, par-ti-to».
Si va verso quella direzione, questa sala lo vuole. Ma trova anche il tempo di ragionare sul come arrivarci. Anche perché alle spalle c'è la brutta esperienza dell'Arcobaleno. Che nessuno vuole ripetere.
E allora? C'è Simonetta Saragone, o almeno così è stata presentata, che insiste sulla necessità che tutto avvenga con un «processo». Pena il riaffacciarsi di un ceto politico, di quel ceto politico che lei definisce «impresentabile». Processo, magari sperimentando nuove relazioni, nuovi modi di stare insieme. Un nuovo modo di rispettare chi non la pensa come te. In sintonia con la filosofia dell'unico movimento che abbia superato l'orizzonte del secolo breve, il femminismo, per usare le parole di Bianca Pomeranzi.
E ancora. Fare in fretta ma senza scorciatoie. Come sostiene Michela Spera, segretaria dei metalmeccanici Cgil di Brescia. Un intervento che «normalmente» sarebbe stato ascoltato con quel silenzio che i cronisti notano subito. Invece l'assemblea di ieri sente tutti gli interventi allo stesso modo, con la stessa attenzione, non fa distinzioni. Così anche Michela Spera deve «stare» in quei tre minuti. Li usa per dire che, stando ai numeri resi pubblici dalla Confindustria, proprio a Brescia s'è registrata la più alta adesione allo sciopero della Cgil. Eppure non bastano quei numeri per cambiare il clima. La sindacalista lo ripete qui: in fabbrica, anche in fabbrica, c'è disillusione, apatia. E in molti casi addirittura rifiuto. Della politica tout court, e quindi anche della sinistra. Sconforto che a tratti prende anche lei. Eppure è voluta venire lo stesso per spiegare che la rassegnazione può trasformarsi in voglia di protagonismo. Lo strumento è appunto la sinistra. Che deve tornare ad indagare, a scoprire i volti, le facce delle vittime della crisi. Deve tornare ad elaborare una teoria politica. E deve anche tornare a fare i conti con quel che accade. «Ed in questo caso ognuno si deve prendere le proprie responsabilità».
La segretaria della Fiom di Brescia cita esplicitamente il «problema delle elezioni europee». Problema, perché molti qui lo vivono esattamente in questo modo. Problema di cui volentieri farebbero a meno. Ed è una questione che - perché non dirlo? - un po' divide quest'assemblea. Anche perché l'incontro dell'Ambra Jovinelli era stato preceduto da un'intervista su l'Unità a Claudio Fava, il segretario di Sinistra democratica, che sembra gettare il cuore oltre l'ostacolo. Per lui l'assemblea di ieri doveva essere il punto di partenza del nuovo soggetto, del nuovo partito che dovrà presentarsi alle europee. Non tutti la pensano allo stesso modo. Nichi Vendola, che non ha neanche presentato la richiesta di intervento convinto che per i dirigenti questo sia il momento «dell'ascolto», non la pensa allo stesso modo. «Un po' sono stupito dalle parole di Fava. Noi pensiamo che che la costruzione del nuovo soggetto della sinistra debba realizzarsi attraverso un processo rigorosamente democratico, centrato sul massimo della partecipazione dal basso, riconsegnando i poteri decisionali al corpo vivo della sinistra diffusa, alla nostra base sociale e militante» Le forzature, insomma, non lo convincono, anzi rischiano di essere controproducenti. «Abbiamo dato vita all'associazione per la sinistra proprio per evitare i politicismi».
In ogni caso, come andare avanti lo si deciderà insieme. Anzi: lo decideranno insieme. Perché da oggi comincia la consultazione, le primarie delle idee. Lo si farà in rete (al sito http://associazioneperlasinistra.it/), lo si farà nelle assemblee delle quasi mille organizzazioni di base che hanno già aderito al progetto. E lo faranno tutti insieme all'assemblea di febbraio.
Lì si deciderà. Ma in realtà l'assemblea di ieri qualcosa l'ha già decisa, anzi: l'ha già «fatto». Li, insomma, in quel teatro è successo qualcosa. Difficile descrivere però di cosa esattamente si tratti. E allora in aiuto possono arrivare le parole - tradotte in simultanea dal palco - di Jurgen Klute. Un membro della direzione della Die Linke tedesca, l'unico a poter sforare i tre minuti. Una sorta di omaggio ad un personaggio, anche lui unico: pastore evangelista, attivo nelle comunità di base in Brasile, attivo nella rete europea del servizio ecclesiale per il lavoro, sindacalista, è stato fra i fondatore del partito tedesco. Del terzo partito tedesco. E lui racconta delle difficoltà, all'inizio, a mettere insieme storie, culture, provenienze diverse. Racconta di come a volte le difficoltà sembrassero insuperabili ma di come fosse il paese a chieder loro di costruire la Die Linke. E racconta di come, alla fine, ci siano riusciti. «Sentendoci tutti una comunità, la stessa comunità. Di tutti, per tutti».
E questo teatro sembra davvero già una comunità. Ce la farà? Nessuno ha la risposta. Ci sono però le parole finali di Moni Ovadia. Che, oltre a tutto il resto, è anche un uomo di spettacolo. E così cattura l'ultimo istante di attenzione, prima della conclusione e dice: «E' davvero l'ultima chiamata, l'ultima occasione per fare la sinistra. Se falliremo le prossime generazioni avranno tutto il diritto di sputare sulle nostre tombe». Se non ce la faranno questo paese sarà peggiore.

Nina ha detto...

sgrunt per un attimo m'ero emozionata.
Vado sul link che hai indicato e non trovo che sparuti commenti, totale assenza di materiali e di documenti relativi ai lavori dell'associazione e la pagina dei contatti che non funziona!
:-(

Anonimo ha detto...

Quel sito è nato in occasione della giornata del 13 dicembre scorso. C'è tanta gente, la sinistra diffusa, che chiede di dare spazio e forma a la Sinistra. Alla faccia di Diliberto e Paolo Ferrero a cui invece non solo non interessa, ma che lavorano per un arroccamento identitario, che dia voce solo alle loro trombette che ormai sparano solo povere dalla bocca. Mi sono rotto i coglioni pure io che c'ho vissuto 15 anni dentro Rifondazione, figurarsi chi oggi dovrebbe sentirsi rappresentato da uno di questi due partiti. Oggi c'è bisogno di quello di cui tu hai parlato e che sta nascendo. C'è bisogno della costituente della sinistra che determini la nascita di un nuovo soggetto politico unitario, radicale e plurale. Qualcosa di strutturato, ma organizzato partendo dal superamento del modello partito di stampo novecentesco ed alla cui nascita tutti contribuiscano senza primogeniture ma sulla base del principio "una testa un voto". E' l'ultima occasione. Penso che, al di là dei due personaggi che non si sposteranno da dove sono ora, se non per riunire Rifondazione ed i comunisti italiani in un unico soggetto che già puzza di simulacro e di salma di Lenin, ci siano tante e tanti che vogliono il soggetto politico unitario della sinistra. Anche dentro a quel che resta degli stessi partiti della sinistra ialiana.
Il punto è che tocca dasse da fa' tutti...

Anonimo ha detto...

Sono assolutamente d'accrodo sulla mancanza di opzioni politiche serie (o anche solo un po' serie). E sono giornalmente esterrefatta nel vedere che quelli che dovrebbero essere i politici sembra non si rendano conto di nulla. E' desolante