giovedì 4 novembre 2010

Italia: terra di viaggiatori, di poeti,di santi e di eroi - 1

O frati, dissi, che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
(Inferno, canto XVI)


C'è chi viaggia per sapere, chi viaggia per ritrovarsi, chi viaggia per scappare da se stesso o dagli altri. C'è chi viaggia per non arrivare, per assaporare sempre il gusto dell'andare avanti, dell'inseguire il miraggio di una meta ideale, c'è chi viaggia costretto a viaggiare e chi viaggia per non saper tornare.
Il mondo è sempre stato dei viaggianti. Le storie, le avventure, le scoperte, i dolori e le gioie dei viaggiatori hanno scritto libri di storia, hanno nutrito il nostro sapere e disegnato i confini del mondo.
Tra i viaggiatori costretti, la nostra perversa storia umana annovera gli uomini, le donne e i bambini fatti schiavi.
Io racconto la storia del Brasile, com'è ovvio, data la mia vita.
Prima di imbarcarsi, questi viaggiatori, dovevano camminare tre volte intorno all'albero dell'oblio, per dimenticare la propria terra, le proprie tradizioni, la propria cultura e la propria dignità.
Perché senza memoria non avrebbero potuto inviare le loro maledizioni a chi li aveva venduti. Ma la memoria non si cancella, tantomeno girando in tondo.
E quando l'orrore della schiavitù è finito, quando gli intellettuali han libato in onore della dignità restituita, centinaia di famiglie sono uscite dai campi e dal lavoro forzato per incontrare nient'altro che indifferenza, fame, miseria.
Nessun progetto per loro, dopo che li avevano trascinati via dalla propria terra e liberati dalle loro catene. Nessuna voglia di dipingere una meta a quell'estenuante viaggio.
Lasciati a se stessi, come viaggiatori perduti in strade non scelte, unico appiglio il ricordo della propria cultura, della propria terra, della propria umanità.
E i porti e le campagne si popolarono di lavoratori a basso costo, tanto in concorrenza gli uni gli altri da dover scegliere di tornare schiavi senza neppure la scusa delle catene.
O di ladri, assassini e puttane. Mestieri vecchi e dolorosi come il Mondo, emarginati e sfruttati dalla società rispettabile. Sicari e mantenute.
Così, oggi, nella nostra insignificante penisola, arrivano i nuovi schiavi. Ma la compravendita è più sottile. Si offre il sogno di una vita in pace e progresso, si legano i polsi con le catene della povertà e della disperazione, affamando i paesi e fomentando le guerre.
Si fan girare i nuovi schiavi intorno all'albero dell'oblio, imponendo ovunque un'unica cultura impacchettata e pronta all'uso.
E poi il teatrino della liberazione: si sbandiera una presunta magnanimità nel restituire dignità alle donne togliendo loro il velo. E poi se ne compra il corpo calpestandone storie, tradizioni, giorni passati e sogni futuri.
Si rinchiudono uomini,donne e bambini in campi di prigionia - in Brasile si chiamerebbero Senzalas - da cui lasciar uscire di proposito quel certo numero di potenziali ladri, assassini e puttane (bambini compresi) necessario al soddisfare perversioni e manie di potere.
Si svende il lavoro, senza rispettare regole e diritti per poter far prosperare chi è già ricco e potente.
Si accende la guerra tra i poveri. Tra i poveri italiani e i poveri stranieri.
E tutti ci cascano.
Eppure gli italiani dovrebbero sapere bene come funziona. Popolo di viaggiatori e di migranti. Ma anche loro sono stati costretti a girare intorno all'albero dell'oblio ed hanno scordato il proprio passato di terza classe e di ghetto.
E così, ditemi, adesso, chi sono gli schiavi e chi sono i viaggiatori.
E così, ditemi, adesso, se con i vostri contratti precari, le vostre marchette-marchionne, i vostri assenzi vi sentite popolo di viaggiatori o popolo di sfrattati.
E così, ditemi, adesso, dov'è finita la vostra memoria.

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