domenica 5 agosto 2007

Anna e Giù - 18/05/04


Al rintocco delle campane, unico e nitido, una turma festosa e scapigliata di ragazzini invase la scalinata della chiesa. Le dita polverose dei giochi in piazza prima della messa domenicale, strinsero come sempre la mia mano. Aveva questo modo di afferrarmi la mano sicuro ed esperto, quasi sfacciato a dispetto dei suoi sei anni. Gli calcai il berretto di lana sugli occhi ridendo “bada non guardarmi così, peste!” Ci lasciammo alle spalle le chiacchiere delle comari e i saluti del parroco e prendemmo la strada dei boschi. Potevamo camminare per ore calciando i sassi del sentiero in silenzio. Mi piaceva soppesare il diverso contatto della mussolina della gonna nera ingombrante, trattenuta dalla mano sinistra e della manina ruvida e tiepida, con la punta delle dita quasi gelata che stringeva la mia destra. Lui sembrava avesse un misterioso accesso alla mia testa: rideva soddisfatto e sbeffeggiante se s’imbatteva in un mio pensiero di tenerezza nei suoi confronti; se un’ombra di tristezza o preoccupazione velava d’improvviso la mia serenità aumentava la stretta sbirciandomi da sotto la visiera del berretto, quasi con timore. Così io. Scoprivo un ghigno di soddisfazione se in una giocosa rissa al mattino aveva avuto la meglio su un compagno, un brillio di rabbia mal contenuta per un rimprovero del parroco, un pensiero crudele e sadico, come solo i bambini hanno, al passaggio di una lucertola. Adorava inchiodarle con gli spilloni da cucito della madre alla staccionata. Sapeva bene che non potevo sopportarlo e allora si agghindava di uno sguardino innocente, falso almeno quanto irresistibile. Quel giorno entrambi rimandavamo il momento di rompere il silenzio. Arrivammo in cima alla strada. Faceva freddo, quel freddo di mezzo inverno che ti penetra nelle ossa. Ci sedemmo sulle grandi rocce lisce e umide che da sempre ospitavano i nostri momenti di fuga. “Buon compleanno Giù!”. Alzò la testa e mi guardò. Stringeva la piccola scatola tra le mani e mi guardava. Sembrava quasi adulto. Gli scarponcini battevano ritmicamente sulla roccia dando un senso al dondolio irrequieto delle gambe. “Non lo apri? È per te…” sforzai un sorriso. Lui non disse una parola. Scartò la velina e una specie di luce guerriera gli illuminò per un attimo lo sguardo. La piccola fionda tra le mani, si sporse a raccogliere un sasso. Prese la mira e una delle solite innocenti lucertole pagò la mia idea per il regalo del suo compleanno. Ghignò sfrontato. “perché te ne vai?” le poche parole sofferte, soffocate nell’incavo della mia spalla mentre si stringeva a me in un abbraccio iroso, quasi violento, mi colsero impreparata

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