mercoledì 22 agosto 2007

Capoeira


Ecco. Il corpo si è trasformato in un disegno, nello schizzo grazioso della matita di un Dio in vena di preziosismi. Gli occhi spuntano inattesi e attenti vicino al suolo, sotto le braccia e sembra che proprio da lì, dallo sguardo vivo e sbeffeggiante nasca la mezza luna della gamba. C’è un momento in cui il neonato colpo si scolora in un vezzo acrobatico, in una fuga repentina, in un movimento contrario fatale all’avversario. In quello stesso momento, in quell’istante preciso di solito un sorriso illumina la contesa. Tutto sgattaiola sull’onda trascinatrice del coro, obbediente s’armonizza alla musica del berimbau. Un’arte marziale che si fa gioco, una lotta dura che non ha mai perso il senso del bello, una sfida che è collaborazione e beffa, strategia ed istinto, orgoglio e umiltà. Comunque, rispetto. Convoglia in rotondità geometrica l’energia della vita quotidiana. Ogni gesto rappresenta, interpreta, insegna. Anche l’amore non esita ad accorrere. Si manifesta nel languore di chi canta con quell’accento naturalmente struggente che gli ha donato il non conoscere la resa. Mio padre. Mio fratello. Il mio sposo. Immaginarli così. Questa gente bella e schietta che conosce la paura e la rispetta e così facendo la esorcizza per sempre. La mia arte tanto amata, che se ruba la vita la ruba del tutto, senza barriere nè difese a poterlesi opporre. Impetuosa come il mare, dolce di poesia, luminosa come l’estate, familiare sogno ancestrale di libertà. grazie alla mia famiglia. 03/05/05

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